martedì 31 marzo 2015

La "LIFE SKILLS EDUCATION" (LSE) : le COMPETENZE DI VITA



Le Life Skills sono le "competenze di vita" e "per la vita", come definite dall'Organizzazione Mondiale della Sanità negli anni Novanta.


 Esse consentono di gestire efficacemente le svariate richieste, problematiche e sfide della vita quotidiana, risultando alla base di ogni processo di SVILUPPO e di PROMOZIONE DELLA SALUTE.



Queste competenze di vita possono essere inquadrate in 5 aree: una relativa al pensiero, una riguardo al rapportarsi con altri individui, una all'area emozionale e una alle capacità cognitive e decisionali.


Competenze di vita (LS)

Le Life Skills sono nate dall'interesse di diverse nazioni a SVILUPPARE, MIGLIORARE, VALUTARE e ADATTARE alla propria cultura i vari progetti di salute, con l'obiettivo di progettare interventi di PROMOZIONE, PROTEZIONE e PREVENZIONE soprattutto nella scuola.

L'OMS, secondo la raccomandazione n° 4 del Comitato degli Esperti (Ginevra, 1996), ha dichiarato che per raggiungere l'obiettivo Salute per tutti gli anni 2000, "ogni scuola deve mettere in grado bambini e adolescenti, a tutti i livelli, di conoscere gli aspetti critici della salute e sviluppare le competenze di vita".

Coerentemente col modello salute e con l'obiettivo prefissato dall'OMS, il compito dello psicologo della salute è quello di "sollecitare lo sviluppo delle risorse e delle competenze psicosociali, mettendo a disposizione di tutte le componenti della scuola il patrimonio di conoscenze che, via via, la scienza psicologica è in grado di offrire. Un coerente processo formativo accomuna gli studenti, e chi se ne prende cura (insegnanti, ndr), nella tensione condivisa verso lo sviluppo di migliori competenze psicosociali."(Bertini, 2012).

Le competenze di vita, quindi, dovrebbero essere insegnate fin dall'inizio del percorso di vita di un individuo, al fine di promuovere un'ottica di promozione delle risorse, di empowerment e di benessere.

Nonostante i numerosi convegni svolti su questo tema, le pubblicazioni e le ordinanze emesse dall'OMS, siamo ancora lontani nel raggiungere l'obiettivo Salute, poiché viviamo ancora in un mondo intriso dal modello biomedico tradizionale. Tuttavia, piano piano, tutti stiamo prendendo coscienza di quanto sia importante e quanti benefici porti, un orientamento volto alla promozione delle nostre competenze, risorse, finalizzato al miglioramento della nostra vita, a partire da qualsiasi condizione in cui viviamo.

sabato 28 marzo 2015

Siate OTTIMISTI! ma non troppo!

Siete persone che vedono sempre il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno?



Ogni giorno ci alziamo dal letto con una particolare e personalissima visione di ciò che dovremo fare durante la giornata. Ci svegliamo con un determinato livello di benessere psicologico, che possiamo più comunemente chiamare "umore", che è dato da moltissimi fattori tra cui l'autostima, l'autoefficacia (leggi post su Crescita Personale), l'autorealizzazione, l'auto-accettazione  (leggi post su Auto-accettazione), il sentirsi ben voluti e inseriti nella società (leggi post su Relazioni interpersonali positive) e altri.

Tutte queste variabili che determinano il nostro stato d'animo, danno origine alla nostra visione ottimistica/pessimistica della nostra vita.

Ai due estremi esistono persone che sono esageratamente e irrealisticamente ottimiste, e persone molto pessimiste, da qui è stata formulata una distinzione tra OTTIMISMO IRREALISTICO O ILLUSORIO e PESSIMISMO CRONICO.
Il primo orienta le persone a sovrastimare sé stesse, portando alla credenza che in futuro si sperimenteranno più eventi positivi rispetto agli altri, portandole a persistere nel gioco d'azzardo, a negare gli effetti negativi dell'alcool, a non fare uso di contraccettivi, a non allacciarsi le cinture in auto perché "tanto non mi succederà nulla"  e quindi non facendo prendere le precauzioni più ragionevoli per la propria sicurezza e incolumità,  aumentandone la vulnerabilità. "Il cieco ottimismo, come l'orgoglio, può precedere la caduta", come dice Myers (2008) in "Social Psychology".
Il secondo estremo, invece, riguarda quell'orientamento che  porta le persone a sottostimare sé stesse, portando alla credenza che in futuro andrà tutto male, e che non vi sarà alcuna novità positiva, ma solo elementi che andranno a complicare la, fin troppo complicata, vita. Pessimista cronico è colui che è più portato a sviluppare sintomi  fisici e psichici, ad ammalarsi, a sperimentare stress.

Ma tra i due estremi c'è una giusta via di mezzo?

La risposta è affermativa!
Infatti, un pizzico di realismo sia nell'ottimismo che nel pessimismo può salvarci dalle insidie dell'ottimismo irrealistico o illusorio e del pessimismo cronico.
Possedere un quindi un PESSIMISMO DIFENSIVO (Norem, 2000) permette di anticipare i problemi e di motivarne la risoluzione efficace, oltre che di controllarne l'ansia, pur essendo presente la possibilità (realistica) di fallimento.
Un ottimismo di tipo realistico, al pari del pessimismo difensivo risulta, quindi, svolgere importanti funzioni nella promozione di autoefficacia, benessere fisico e psicologico.

La morale è che il successo nella nostra vita (in ogni ambito) richiede un ottimismo sufficiente a sostenere la speranza e un pessimismo altrettanto sufficiente a far emergere una certa preoccupazione e quindi a prendere le giuste precauzioni.

venerdì 20 marzo 2015

Perché si tende ancora a parlare di TERAPIA (delle malattie) invece che di PROMOZIONE (delle risorse)?


La "Psicologia della Salute e del Benessere" come disciplina formale si è affermata negli Stati Uniti solamente nell'ultimo quarto del secolo scorso, per poi espandersi in Europa.

Questa nuovissima branca della psicologia si diffuse rapidamente in quanto avvenne un grosso mutamento nella prevalenza delle principali tipo di patologie nei Paesi Occidentali. Vi era sempre meno prevalenza di malattie infettive di tipo acute, mentre, parallelamente le malattie con decorso di tipo cronico(cancro, diabete, incidenti stradali, malattie neurologiche etc) sono notevolmente aumentate.

La crescita di malattie con questo tipo di decorso ha favorito l'ingresso della figura dello psicologo, in quanto esso doveva occuparsi delle dinamiche psicologiche-comportamentali del paziente affetto di malattia cronica, per far in modo che questo possa affrontar tale ostacolo nei modo più costruttivo e positivo possibile.

Tuttavia, questo tipo di implicazione della psicologia della salute, certamente importante nei suoi sviluppi attuali, rischia di minimizzare la vera novità che si manifesta nelle parole "salute" e "benessere", cioè quella di una nuova concezione del percepire il proprio stato psico-fisico che non è più inteso come "assenza di malattia", ma come "stato di benessere fisico, psichico e sociale", come negli anni Cinquanta del secolo scorso l'Organizzazione Mondiale della Sanità definì.

Una motivazione secondo la quale il benessere è ancora "impregnato" dal modello biomedico tradizionale è l'utilizzo ancora diffuso di termini, codici linguistici consolidati nel campo della malattia, oltre che della vistosa assenza di parole e metafore in grado di rappresentare i concetti originali della salute e del benessere.

Altra motivazione caratterizzante di questo divario esistente tra modello biomedico tradizionale incentrato sulla terapia e modello della salute incentrato sulla promozione delle risorse è la mancanza di un chiaro quadro teorico e concettuale da parte di quest'ultima in confronto alla ricchezza di conoscenze della medicina tradizionale.

L'obiettivo che ci dovremmo prefiggere per migliorare la nostra vita quotidiana è quindi quello di affiancare la promozione delle risorse alla terapia delle malattie, poiché, come dice Bertini in "Psicologia della salute, 2012", "...il bisogno di sopravvivenza si risolve non solo negli ingranaggi della difesa dalla morte ma anche in quelli della speranza di vita, di cui il ben-essere è vettore sostanziale".

Pertanto, la scienza della malattia e quella della salute dovrebbero essere complementari, non alternativi, ai fini di portare la società e le persone a perseguire un benessere psicologico maggiore, qualunque sia la condizione psicofisica, sociale, economica di queste.







mercoledì 11 marzo 2015

Wired Next Index : un indice di volontà di benessere



Il WNI  è il primo indice che misura “la volontà di innovare, la voglia di ripartire e di farcela” dell’Italia.

Ciò rappresenta, quindi, un approccio positivo, realista ma costruttivo, che è intrinseco nella psicologia del benessere.


Questa nuovo indice, lanciato da Wired nel dicembre 2013, rappresenta uno dei primi tentativi che mira a mettere in una relazione coerente i dati provenienti dalle statistiche ufficiali, i cosiddetti dati “freddi” e quelli “caldi”, provenienti dall’analisi dei social network.


I dati "freddi" sono quelli provenienti da rilevazioni mensili o trimestrali di fenomeni come: numero di occupati, numero di imprese nuove aperte, volume esportazioni e importazioni ecc.
Questi dati sono importanti, ma per loro natura intrinseca riguardano cose già accadute.


I cosiddetti dati "caldi" riguardano invece gli 'umori" espressi nei vari social network come Twitter, Facebook, fornendo dunque una fotografia del presente. Più nello specifico riguardano la fiducia personale( nelle proprie capacità e nel proprio futuro) e la fiducia nel proprio Paese.
I dati "caldi" inerenti alla fiducia vengono rilevati attraverso l'analisi di tutti i tweet, post, status giornalieri dei vari social e hanno la sorprendente capacità di anticipare il dato che verrà poi registrato dai dati "freddi".



Il WNI, dunque, integrando dati ufficiali, e dati in tempo reale, ci fa capire che prospettive hanno gli Italiani e come sono in grado di affrontare tutti gli ostacoli che questa crisi economica e di valori ci sta ponendo.


Essere ottimisti ma realisti, senza quindi sfociare ne " l'ottimismo irrealistico" , e credere nelle proprie capacità e in quelle del proprio Paese è uno dei passi fondamentali per il perseguimento del nostro benessere psicologico.




mercoledì 4 marzo 2015

Perché rivolgersi ad uno psicologo del Benessere?


"No, non vado dallo strizzacervelli, e se dovessi andare non dovrebbe saperlo nessuno...poi penserebbero che sono matto"

"Non vado dallo psicologo..mi vergogno a raccontar loro gli affari miei"

"Ma secondo te dovrei farmi dire da uno psicologo come migliorare la mia vita? Ci penso da solo"


Andare dallo psicologo non deve essere causa di vergogna e stigma sociale. Soprattutto perché da pochi anni esiste anche una nuova figura professionale nel campo della psicologia: lo Psicologo del Benessere. Esso si occupa di promuovere la salute e le risorse che ogni persona, gruppo, comunità, città possiede, al fine di migliorarle sempre di più e, quindi, produrre benessere.


Fare questa scelta è sinonimo di onestà intellettuale oltre che di maturità , poiché si ha accettato il fatto di aver bisogno di una mano, o il fatto che si può migliorare, promuovendo il proprio benessere, e che ci sono persone ESPERTE che potrebbero aiutarti, fornendoti una chiave di lettura diversa (ed esterna) della tua vita e quindi anche dei tuoi problemi.


Con questo,  ci proponiamo di lanciare un nuovo hashtag a sostegno dell'apertura mentale e senza pregiudizi riguardo all'andare dallo psicologo : ‪#ChiedoAiutoSenzaTabù


"Se dipendesse da me, renderei contagiosa la salute invece che la malattia."
Robert Ingersoll

martedì 3 marzo 2015

I SOLDI FANNO LA FELICITÀ ?



Questa è una domanda che tutti noi ci siamo posti almeno una volta nella vita...

Una economista americano, Richard Easterlin, negli anni '70 del secolo scorso, cercò di trovare una risposta a tale quesito, analizzando quindi la relazione tra reddito e felicità o benessere soggettivo.


Per studiare questa relazione, Easterlin è andato a chiedere ad un campione di individui se e quanto erano felici o soddisfatti della propria vita in generale ed ha cercato di comprendere se e come queste valutazioni variano a seconda del reddito percepito. 

Venne rilevato, analizzando questa relazione mediante l'analisi Cross-section, una correlazione positiva tra benessere soggettivo e reddito percepito. Tuttavia la correlazione tra queste due variabili è risultata piuttosto bassa, infatti vi sono molte altre discriminanti oltre al reddito, che caratterizzano e influenzano il benessere soggettivo (età, stato di salute, relazioni affettive, confronti interpersonali ecc.) Tale correlazione positiva diminuisce all’aumentare dei redditi percepiti, tendendo infine a scomparire.

Incredibile ! È un paradosso! Non é l'obiettivo della maggior parte delle persone fare tanti soldi per essere felice? 

A quanto pare, no.

Easterlin definisce questo paradosso, come "Paradosso della Felicità", perché viene contraddetta la credenza diffusa e consolidata secondo cui un aumento di ricchezza dovrebbe generalmente determinare un aumento del benessere.

Vi sono due spiegazioni all'origine di tale paradosso: 

Una prima spiegazione riguarda i confronti interpersonali: il benessere soggettivo in relazione col reddito percepito, aumenterà solo se il proprio reddito percepito aumenterà. Infatti, se venissero innalzati i redditi percepiti di tutti, la felicità o benessere soggettivo  non aumenterebbe.

Una seconda spiegazione riguarda il fatto che nella vita, più diventiamo ricchi più aspettative avremo, e più cose vorremo, cadendo nella “trappola delle aspettative crescenti”, cioè il meccanismo per cui il benessere soggettivo  derivante dall’acquisizione di un nuovo bene, dopo un aumento temporaneo ritorna rapidamente al livello precedente in quanto gli individui si adattano alla nuova situazione e tendono a spostare sempre più in alto i loro desideri.

In conclusione, il Paradosso della felicità suggerisce che, quando un Paese ha superato una certa soglia di sviluppo economico, non vi è più correlazione tra il PIL pro capite e la felicità dei suoi abitanti. Questa scoperta empirica ha messo in crisi l’idea consumistica del benessere, e ha messo in crisi il significato di "felicità" che viene sempre associato al Dio Denaro.